I TEMPI/LUOGHI DEI BAMBINI E DEI RAGAZZI: IL SE' SOCIALE

“Per poter cambiare la scuola occorre per prima cosa un esercizio di pensiero” (Riccardo Massa)

ESERCIZI DI PENSIERO/2025-11

I TEMPI/LUOGHI DI VITA DEI BAMBINI E DEI RAGAZZI: IL SÉ SOCIALE

 

La Famiglia e la scuola; ma i bambini e i ragazzi hanno anche bisogno di un tempo e di uno spazio che sia loro, in cui esercitare l’autonomia che stanno costruendo. Gli altri tempi/luoghi sono condizionati dal bisogno di tutela, ma la capacità di governare la propria libertà non si costruisce/raggiunge senza essere posti in situazioni in cui si è titolari esclusivi di responsabilità. Ecco perché serve un tempo di significativa esperienza di responsabilità verso sé e verso gli altri; nei diversi momenti dell’infanzia e dell’adolescenza serve per provarsi, per fare il punto sul proprio progetto di vita nel presente e nel futuro (per come è possibile prefigurarlo).

L’immagine storica più immediata è quella del “cortile” (senza cadere nel rischio del ricordo nostalgico), dove, sotto gli occhi attenti, ma non invasivi degli adulti, i bambini potevano esercitare prove di autonomia.

“I ragazzi della via Pál” ne è la rappresentazione letteraria novecentesca più drammatica in cui le contraddizioni del mondo adulto vengono rielaborate, anche dolorosamente, nel percorso di crescita.

“Il signore delle mosche”, per contrasto, evidenzia quanto la presenza, consapevolmente non invadente degli adulti, sia fondamentale nel sostenere la scoperta e la conservazione delle regole come esercizio di libertà.

È necessario che gli adulti che stanno al loro fianco possiedano la consapevolezza che il loro compito è “solo” di garantire che questo risulti veramente il tempo dei bambini. È una competenza che prevede un elevato livello di professionalità.

Il sé sociale è dunque tempo/luogo dei bambini e dei ragazzi da condividere con gli educatori del sistema territoriale, gli educatori tra i cancelli (il cancello della casa e quello della scuola).

Emerge una rappresentazione dell’educatore non come terza figura adulta (accanto a genitore e a insegnante) chiamata a saturare la vita dei bambini/ragazzi; nemmeno come possibile sostituto di una di tali figure quando risulti mancante o inadeguata; questa è semmai una tentazione che l’educatore è chiamato a evitare. L’educatore è una risorsa per i genitori e per la scuola affinché non si arrendano davanti alle difficoltà, non mettendo pezze bensì tenendo aperte le opportunità che a volte, proprio chi è più vicino non riesce a vedere.

Quale ruolo gioca l’educatore nella vita dei bambini e nell’intreccio con gli altri adulti a loro prossimi?

Propongo solo alcuni spunti che necessitano di una ben più ampia e approfondita riflessione[1].

L’educatore funge da catalizzatore con il compito di stimolare percorsi di esplorazione del mondo non sempre lineari.

Fondamentale è il sostegno alla dimensione sociale del sé, orientando le situazioni aggregative verso la dimensione di comunità operose. Il gruppo identitario o l’isolamento sono i grandi e rischiosi rifugi nel passaggio dal modo infantile a quello adulto, ma non si contengono con il richiamo morale e/o impositivo. È necessario rendere disponibile un tempo/luogo in cui il sé sociale sia più conveniente del sé individuale e isolante. Paradossalmente attivare strumenti di consapevolezza e l’esercizio di responsabilità sociale rappresentano gli ingredienti determinanti da mettere in gioco.

All’inizio il gruppo non è una comunità. È compito dell’adulto porre le condizioni affinché i ragazzi si percepiscano come comunità operosa in quanto orientata al rispetto e al reciproco riconoscimento, in cui ci si prende cura degli altri e si permette agli altri di prendersi cura di noi. La comunità operosa di cura è un fantastico esercizio di responsabilità e di condivisione che rende possibile crescere come singoli e come gruppo. Prevede l’intenzionalità dell’adulto che opera sulla negoziazione/condivisione di senso e sul promuovere attività di cui ci si sente tutti co-responsabili.

È un lavoro faticoso e tocca all’adulto renderlo praticabile senza sostituirsi al protagonismo dei ragazzi.

L’educatore non rappresenta il centro del loro mondo; a volte lo diventa per poco tempo, quanto basta per far sì che loro ricreino autonomamente nuove relazioni. Essere educatore vuol dire far parte del gioco ma rispettando il tempo dei ragazzi. Sono loro che cambieranno, che tra difficoltà, lotte e meraviglie cresceranno.(3 fine)

 

Domenico Chiesa 

(14 marzo 2025)

 

[1] Qualche elemento di maggiore approfondimento si può trovare nella ricerca realizzata nel quartiere Madonna dei Fiori di Bra e documentata nel testo “Per far crescere un villaggio ci vogliono i bambini”, esperienze quotidiane in un sistema educativo di territorio raccontate dagli adulti che ne hanno beneficiato (2016-2019)