L'ATTUALITA' DI GIACOMO MATTEOTTI

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Accade che sovente in ogni città italiana sia presente una via, un corso o una piazza, sovente centrale, dedicata a Giacomo Matteotti, che fu deputato del Psi dal 1919,  1922 e nel 1924. Sovente però il personaggio non è conosciuto nella pienezza delle sue sfaccettature. 

Federico Fornaro, in quanto storico, ha provveduto a scrivere una biografia profonda e articolata di questo politico, dal titolo "Giacomo Matteotti. L'Italia migliore", a cento anni dal suo omicidio per mano di sicari fascisti, avvenuto il 10 giugno 1924. Il suo corpo fu ritrovato il 16 agosto 1924 nei boschi di Riano, presso Roma e nel gennaio 1925 Mussolini rivendicò la responsabilità morale e politica del suo omicidio.

Fornaro riesce a fornire di Matteotti un profilo del dirigente politico, da cui emerge un uomo di pensiero e di azione, un riformista convinto della necessità di una politica centrata sulla giustizia sociale, sulla libertà come principio ispiratore dello stesso agire politico, profondamente contrario alle guerre. 

Pubblichiamo questo articolo che Federico Fornaro ha gentilmente inviato al Cidi di Torino.

 

Il centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti sta contribuendo in maniera significativa a diffondere una corretta memoria del suo agire politico e delle sue idee, oltre alla più conosciuta intransigente battaglia contro il fascismo.

L’intera esistenza di Matteotti, e non solo la sua tragica fine per mano di sicari fascisti al soldo di Mussolini, infatti, rappresentano l’inequivocabile testimonianza che non vi fu, come tenta di far credere un certo revisionismo d’accatto, una dittatura all’acqua di rose, fino alla promulgazione delle leggi raziali nel 1938, e poi un “Mussolini cattivo” a causa delle amicizie con Hitler e l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940.

Proprio l’intero agire politico e le vicissitudini umane di Matteotti, dimostrano invece come la violenza, la sopraffazione dell’avversario fino alla morte, il disprezzo per la democrazia parlamentare e per lo stesso valore della vita, l’intolleranza e il razzismo siano state parte fondante e identitaria del fascismo, fin dalla costituzione dei Fasci di combattimento, nel marzo 1919.

Nell’Italia di oggi, quindi, una rilettura del pensiero di Matteotti appare di straordinaria attualità, in primo luogo, per evitare che passi una riscrittura falsa e strumentale della storia del fascismo.

Tra i grandi meriti di Matteotti vi fu certamente quello di aver colto tra i primi la natura eversiva del fascismo, che invece fu sostanzialmente ignorata nella fase dell’ascesa al potere di Mussolini dalla quasi totalità della classe dirigente dell’epoca.

Il “laboratorio socialista del Polesine”, su cui si abbatté un autentico uragano di violenza fascista tra il tardo autunno del ‘20 e la primavera ’21, permise a Matteotti di toccare con mano la reale essenza dell’organizzazione guidata da Mussolini.

Il Gruppo parlamentare socialista presentò una mozione sulle violenze fasciste che fu discussa alla Camera il 31 gennaio 1921. A illustrarla in aula venne delegato Matteotti, deputato del collegio Ferrara-Rovigo alla prima legislatura. Quell’intervento rimane una delle migliori sintesi sui caratteri   dell’offensiva lanciata dal fascismo, destinata a dilagare nel resto del paese fino all’apogeo della Marcia su Roma del 28 ottobre 1922.

«Noi non ci lagniamo della violenza fascista» - esordì con una straordinaria onestà intellettuale Matteotti - «siamo i primi a riconoscere le origine storiche e la necessità del fascismo, siamo i primi a interpretarne la giustificazione economica, a riconoscerne la esistenza, quasi direi come necessità sociale di questo momento».

L’oratore proseguì riconoscendo autocriticamente come «in ogni partito, che in ogni massa, da ogni parte vi possano essere dei delinquenti, dei male intenzionati, dei violenti», ma nel contempo denunciò con forza come in Italia stesse operando da mesi una «organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti, nei suoi capi, nella sua composizione, nelle sue sedi, di bande armate le quali (…) apertamente che si prefiggono atti di violenza, atti di rappresaglia, minacce, violenze incendi (…) È una perfetta organizzazione della giustizia privata; ciò è incontrovertibile».

Il j’accuse di Matteotti non si limitò però alla denuncia delle sistematiche azioni criminali delle bande fasciste, ma pose l’accento sulle complicità della borghesia industriale e agraria e degli apparati di sicurezza dello Stato, colpevoli di dare copertura a quella che egli definì una «organizzazione armata extra-legale».

«La verità è, onorevoli colleghi» - continuò Matteotti - «che codesta violenza è esercitata da voi per interesse di classe, per interessi economici lesi, e non contro fatti politici, o in risposta a provocazioni e a violenze singole di lavoratori (…) Quando la libertà economica giovava alla classe borghese, perché il proletariato non era organizzato, allora si esaltava la libertà (…) oggi che il proletariato, per mezzo della libertà e delle proprie forme di organizzazione, intacca i profitti capitalistici, la libertà viene negata e viene proclamata la violenza contro di essa».

Per Matteotti il governo guidato da Giolitti aveva consapevolmente abdicato al ruolo di «rappresentante della legge uguale per tutti» e di «repressore di ogni violenza»; perseguendo, invece, l’obiettivo, neppure troppo dissimulato, di «fiaccare la forza socialista nel paese mediante l’offensiva delle bande fasciste».

In conclusione del suo discorso, egli rivendicò come i dirigenti socialisti in più di un’occasione, a costo di essere accusati di viltà, avessero invitato i lavoratori «a non rispondere alle violenze».

Anche la pazienza, però, aveva un limite, e le classi dirigenti borghesi avevano perciò il dovere di porre fine a «codesta vostra piccola controrivoluzione, che prepara la guerra civile».

A cento anni di distanza, la rilettura delle parole di Matteotti su Mussolini e lo squadrismo non rappresenta, dunque, soltanto un doveroso omaggio al martire dell’antifascismo per eccellenza, al socialista riformista intransigente, ma anche uno straordinario antidoto contro un revisionismo strisciante, orientato a impedire di riconoscere i tratti distintivi della stagione di lotta politica all’insegna della violenza sistematica che precedette e accompagnò l’ascesa al potere di Mussolini e del fascismo.

 

Federico Fornaro

(22 settembre 2024)